Prospettive future: il problema delle PMI e il caso Italia
Nell'ottica di Basilea II cambiano i ruoli per le piccole e medie banche. Infatti queste potrebbero operare sul mercato dei crediti differenziandosi dalle grandi banche mediante una focalizzazione maggiore nella concessione di crediti alle piccole e medie imprese (PMI).
Un rinnovato rapporto gioverebbe ad entrambe le parti: le imprese, infatti, costituirebbero rapporti fiduciari con istituti di credito presenti nel territorio, i quali hanno una maggior consapevolezza informativa della storia della azienda e del mercato nel quale opera, rispetto ad un grosso istituto centrale. Di contro, gli istituti locali avrebbero l'opportunità di crescere trasformando la loro prospettiva locale in globale: le PMI costituiscono in certi casi dei centri di eccellenza che sicuramente non operano su mercati di grande scala, ma comunque competono a livello internazionale; in altri casi la sopravvivenza stesse delle imprese di piccole e medie dimensioni è legata alla capacità di confrontarsi con i mercati esteri.
Confrontandosi a livello internazionale, avranno bisogno di partner finanziari che adottano prospettive internazionali. In questa ottica il passaggio dalla figura della banca-foraggiatrice a quello della banca-assistente controllore e consulente può certamente contribuire a ridurre la presenza di intrecci poco chiari tra banche e alta finanza e la stagnazione di mercato favorendo di contro la crescita delle piccole realtà in realtà più grandi e competitive. Inoltre un approccio vincolato a concetti di controllo e adattamento rispetto al mercato potrà consentire alle imprese di sviluppare una mentalità orientata non più solo a obiettivi a brevissimo termine, ma a una produttività a medio lungo termine, indispensabile per una crescita reale e solida. Non guardare al futuro sviluppo etico-economico vorrebbe dire ingessare il sistema dei finanziamenti-investimenti.
Basilea II è stata sottoposta da più parti a critiche per l'atteggiamento indotto nei confronti delle PMI. Una PMI, infatti, ha minori possibilità di generare reddito o di generarne di ingente. Inoltre in alcuni paesi la PMI è solitamente a conduzione familiare e quindi contraria all'ingresso di soci e capitali esterni, da un lato, non attrezzata nel settore analisi e gestione finanza dall'altro. In tal senso Basilea II è già stata sottoposta a diverse modifiche, soprattutto sotto la spinta dei governi di Germania e Italia, ma il rischio resta e l'accordo continua a generare polemiche.
Se osserviamo la situazione italiana, in particolare, notiamo sia il rischio sia la potenzialità di un cambiamento di questo tipo. L'Italia è un Paese che deve la sua ossatura produttiva alle PMI, inoltre ha un sistema economico molto chiuso, rattrappito, carente di quella capacità di innovare che è la molla necessaria per la competitività .
L'origine del problema italiano è da rintracciarsi in una serie di motivi storici e politici il cui risultato non è più sostenibile nel quadro economico internazionale. L'introduzione delle nuove metodologie dovrebbe spingere le banche a cambiare strategie, se anch’esse vogliono competere a livello internazionale. Le banche hanno da tempo iniziato a prendere atto delle nuove problematiche elaborando previsioni e cercando di coinvolgere i propri clienti nella scoperta delle specifiche della nuova disciplina. Sono infatti costrette a confrontarsi sul piano internazionale e vivono un regime di stringente concorrenza. Le imprese, invece, sono rimaste in buona parte ferme. Sondaggi[Quali?] rilevano come il 50% degli imprenditori non sappia neanche cosa sia Basilea II e men che meno cosa offra e richieda in cambio.
Le PMI italiane non hanno maturato una mentalità in grado di valutare quanto possa convenire la novità in termini di sviluppo futuro. Gioca un ruolo importante anche il fatto che da più parti si è sfavorevoli ad abbandonare la cattiva consuetudine nazionale, basata sulla netta prevalenza del finanziamento a breve e sul divieto di far entrare capitali di terzi all'interno dell'impresa familiare. Le imprese italiane dimostrano di rifiutare, mediamente parlando, l'ingresso di soci e di capitali esterni nell'impresa familiare nel modo più assoluto e anche se il rifiuto dovesse implicare che l'azienda smette di crescere e di essere produttiva.
L'ovvia conseguenza è che le PMI Italia risultano avere un livello di capitalizzazione basso, specie raffrontato con le loro numerose sorelle francesi e britanniche: inoltre, le prime fanno largo uso di strumenti di finanziamento emessi dalle grandi banche popolari e le seconde dei capitali facilmente reperibili in borsa. Le imprese tedesche, invece, godono della presenza di un unico istituto bancario di riferimento, coinvolto anche negli aspetti operativi dei processi aziendali.
Per le imprese italiane in particolare, storicamente sottocapitalizzate e ancora basate sul pluriaffidamento bancario a breve, quello di capitalizzazione sarà l'indicatore che darà più preoccupazioni: la ristrettezza del capitale proprio non è certo un segnale di solidità e di propensione al rischio. Senza contare che a tutt'oggi la pratica delle garanzie personali a fronte dei finanziamenti è stata circoscritta dalla nuova normativa a casi particolari, per cui non può più essere di soccorso. L'immissione di nuovo capitale di rischio, attraverso l'ingresso di nuovi soci o l'utilizzo di nuovi strumenti finanziari, sembrerebbe essere l'unica via percorribile per diminuire il proprio grado di rischiosità , ma si scontra fondamentalmente con due fenomeni: da una parte la riluttanza patologica di molte imprese, specie se a conduzione familiare, a diluire la proprietà e a permettere l'ingresso a nuovi soci; dall'altra la mancanza di una politica fiscale che incentivi in modo deciso la capitalizzazione.
Le PMI italiane rischiano quindi, ancora più delle loro sorelle di essere maggiormente penalizzate dalle nuove regole: la prospettiva è tutt'altro che irrilevante e desta gravi preoccupazioni se si consideri che le PMI costituiscono la base produttiva del sistema economico italiano.
Questo tipo di aziende dovrebbero partire dalla costruzione di un database dei propri bilanci riclassificati, in modo da evidenziare la qualità e l'attendibilità del loro bilancio d'esercizio e da riassumere le rispettive situazioni di redditività , solidità e liquidità . Evidenzierebbero i punti di forza ma anche i punti di debolezza e potrebbero correre immediatamente ai ripari.
È però innegabile che l'analisi finanziaria previsionale richiede investimenti di non poco conto in strumenti e tecnologie, che le microimprese in particolare non possono affrontare, e sarebbe auspicabile, in questo senso, che esse instaurassero un rapporto di consulenza con le banche. Tale processo, però, incontra barriere di non poco conto, soprattutto psicologiche: è difficile, infatti, che l'imprenditore si risolva a trasmettere all'esterno dati prima gelosamente custoditi e a sottoporsi al giudizio di terzi.
Conoscere con un certo grado di approssimazione quali sono le reali possibilità di successo e qual è il verosimile ritorno di un investimento è condizione indispensabile per saper presentare alla banca il progetto da finanziare su basi più solide, suffragate da dati verosimili. L'analisi previsionale ha, tuttavia, dei limiti: è estremamente difficoltoso valutare il grado di adeguatezza e di errore delle valutazioni espresse, tanto più che quasi sempre tale analisi si risolve in un ribaltamento del passato sul futuro, cosa ben poco verosimile.
Ne deriva che risulta essere fondamentale una gestione corretta che ponga la giusta attenzione alle posizioni di redditività e di equilibrio finanziario, oltre che l'autovalutazione delle imprese (attraverso i sistemi di rating assignement utilizzati dalle banche o indici di sintesi più facilmente padroneggiabili), e, non meno importante, una corretta impostazione delle linee di azione per correggere scelte inadatte e consolidare situazioni patrimoniali o reddituali vacillanti.
Un rapporto di maggior controllo fattuale da parte della banca, inoltre, renderebbe anche assai più oneroso, difficile e rischioso per l'impresa avere scarsa cura del proprio assetto patrimoniale e perpetrare falsi in bilancio. Le banche, infatti, rischiando di concedere denaro che non verrà loro restituito e avendo gli strumenti adatti, effettuano analisi estremamente minuziose alla ricerca di falle e discrepanze nelle dichiarazioni patrimoniali. Un'impresa che maneggi o annacqui i bilanci si vedrebbe assegnare un rating molto più basso e pagherebbe molto di più il denaro che le verrebbe concesso, sempre che la banca si decida a concederlo.
Si può dunque auspicare che gli accordi di Basilea II contribuiranno, molto più di tanti altri interventi ad hoc, a fare del bilancio una true and fair view dello stato della gestione aziendale.
Ovviamente tutto ciò deve sempre basarsi su criteri di veridicità e trasparenza, che sicuramente è una base solida per costituire il rapporto banca-impresa.